Il Cardinale Teodorico Ranieri

Da Lettera Orvietana, n. 18-19-20 Agosto 2007, di Sandro Bassetti
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Theodorico de’ Ranieri o Rainerii nasce in Orvieto presumibilmente intorno al 1235, figlio di Zaccaria, fratello di Zampo, vescovo di Soana, e di Pietro.

Cadetto della famiglia de’ Ranieri abbraccia la carriera ecclesiastica che percorre con un crescendo di onore e fama. Muore il 7 dicembre 1306. Circa nell’anno 1275 consegue il priorato di Sant’Andrea, chiesa collegiata fra le più antiche d’Orvieto: papa Martino IV alla sua venuta lo dichiara suo cappellano e poi lo manda collettore in Germania. Ricopre la carica di arcivescovo di Palermo dal 1286 al 1294: papa Bonifacio VIII lo elegge arcivescovo di Pisa nel 1294 e camerlengo della Chiesa, carica che ricopre fino al 1298. Raggiunge il culmine della sua carriera, quando nel conclave di Castel Nuovo in Napoli il 24 dicembre 1294 il cardinale Benedetto Caetani è eletto al soglio pontificio con il nome papa Bonifacio VIII. In qualche modo il Papa ed il Vescovo si incontrano, si conoscono, si stimano reciprocamente: Theodorico diviene il braccio destro di papa Bonifacio VIII che lo crea cardinale il 4 dicembre 1298 con il titolo di Santa Croce in Gerusalemme al quale si aggiunge quello di Palestrina il 13 giugno 1299. Di seguito si scende più in dettaglio sull’avventurosa vita di Theodorico de’ Ranieri in quanto nelle cronache orvietane non se ne fa menzione.

Dopo l’elezione di Bonifacio VIII, in Palestrina, l’antica Præneste nella provincia di Roma, si arroccano i cardinali Giacomo e Pietro Colonna che ne contestano la legittimità. I due cardinali Colonna lo criticano apertamente in curia dichiarando che la sua elezione non è legittima perché non valida, a sua volta, l’abdicazione di Celestino V, Pietro del Morrone, il Papa del “gran rifiuto”. Si fanno promotori di un’aspra opposizione di una parte del clero e del popolo di Roma e della campagna circostante, trovando sostegno negli Spirituali francescani: portavoce di quest’ultimi è Jacopone da Todi, che in una delle sue veementi laudi arriva a chiamare il Papa “novello anticristo”. La lotta si concretizza il 10 maggio 1297 nella sottoscrizione di un memoriale, il cosiddetto “manifesto di Lunghezza”, da parte dei Colonna e di diversi Spirituali, che dichiara decaduto il pontefice ed intima ai fedeli di negargli l’obbedienza.

Il manifesto è affisso sulle porte delle chiese di Roma e sull’altare maggiore di San Pietro: a questo fa seguito un secondo il 16 maggio che elenca gli addebiti mossi a Bonifacio VIII, compreso il raggiro di Celestino V teso a spingerne l’abdicazione, e che richiede un consiglio generale della Chiesa. La reazione di Bonifacio VIII è violenta e tempestiva: i due cardinali sono destituiti e scomunicati, è decretata la confisca dei loro beni ed ordinata la loro sottomissione, con l’apposita bolla del 10 maggio 1297 “In excelso throno” che richiama una crociata contro i Colonna, e contro Palestrina, loro sede. Segue pronta l’ulteriore bolla “Lapis abscissus” del 23 maggio 1297 che sottolinea gli oltraggi della loro “dannata stirpe e del loro dannato sangue”, che avrebbe voluto sterminare “perché essa sollevava in ogni tempo il suo capo pieno di superbia e di disprezzo”: la scomunica è estesa ai cinque nipoti di Giacomo ed ai loro eredi dichiarati scismatici. Alle bolle i due cardinali reagiscono, protestando per l’ingiusta condotta del Papa, attraverso un terzo manifesto il 15 giugno ed immediatamente cominciano a preparare le loro fortezze per la difesa. Bonifacio VIII si ritira da Roma ad Orvieto, dove, il 4 settembre 1297, dichiara la guerra ai Colonna ed affida a Theodorico de’ Ranieri, arcivescovo di Pisa, la condotta delle operazioni. Theodorico a capo di truppe pontificie guidate da Landolfo Colonna, un fratello di Giacomo, e di un contingente di Fiorentini assedia prontamente Palestrina per oltre un anno, dal settembre 1297 al settembre 1298, e poi, fiaccata la resistenza, conquista i feudi dei Colonna. Le rocche colonnesi cadono una dietro l’altra: Zagarolo, Colonna e Palestrina sono distrutte. I Colonna vanno tutti insieme a Rieti, dove allora si trova Bonifacio VIII, per gettarsi ai suoi piedi implorando la sua clemenza.

Il Papa perdona loro, e li assolve dalle censure, ma non perdona alla città, ed ordina il 13 giugno 1299, a Theodorico de’ Ranieri, nel frattempo divenuto anche camerlengo, di distruggerla interamente, “perché non vi resti nulla, nemmeno la qualifica o il nome di città”, come avviene: Theodorico, quindi, fa passare l’aratro sopra le rovine della città e poi vi fa spargere il sale; non lascia in piedi che la cattedrale.

Secondo una tradizione riportata da Dante nell’Inferno, XXVII, 100, Bonifacio VIII avrebbe consultato Guido da Montefeltro per la distruzione di Palestrina. “E’ poi ridisse; “Tuo cuor non sospetti: /finor t’assolvo, e tu ‘insegna fare / sì come Prenestrino in terra getti”. I cittadini, poi, sono considerati come ribelli e scismatici e ridotti alla mendicità, avendo il Papa fatto confiscare i loro beni. Il Papa poi, sempre attraverso Theodorico de’ Ranieri, fa fabbricare ai cittadini le case ai piedi della città distrutta, chiama questa nuova borgata Città Papale, la dichiara sede vescovile cardinalizia, come lo è stata Preneste, assegnandole per cattedrale la chiesa stessa di Sant’Agapito, il solo edificio lasciato in piedi da Theodorico de’ Ranieri: elegge, infine, il 13 giugno 1299, Theodorico de’ Ranieri primo vescovo di Città Papale. La Diocesi comprende il territorio da Artena (Monte Fortino) a Rocca Priora, una delle città dei Colli Albani, fino a Castrum Novum Tiburtinum, che potrebbe essere l’odierna Corcolle. Con una bolla però, in data del 1° luglio 1299 restituisce ai cittadini i beni confiscati,da goderne a titolo di feudo: con altra bolla in data 13 dello stesso mese dichiara i cittadini stessi liberi, obbligandoli a pagare un annuo tributo di 25 lire, impone loro alcune leggi, e concede per pascolo comune gli avanzi della città antica. Theodorico de’ Ranieri è nominato dal papa Bonifacio VIII cameriere di Sua Santità, arcivescovo eletto di Pisa, cardinale del titolo di Santa Croce in Gerusalemme il 4 dicembre 1298 e poi primo vescovo di Città Papale, la nuova Palestrina, il 13 giugno 1299. Nel 1300 anche il governo della nuova città è affidato al cardinale Theodorico de’ Ranieri: dall’epistola n. 474 si rileva l’anticipazione della nomina: “Bonifacius VIII concedit Episcopo Civitatis Papalis Locum, ubi fuerunt olim Civitas Prænestina, eiusque Castrum, quod dicebatur Mons, et Rocca; ac etiam Civitas Papalis postmodum destructa, cum Territorio et Turri de Marmoribus, et Valle Gloriæ; nec non Castrum Novum Tiburtinum. 2 Id(ibus). April(is). an. VI (12 aprile 1300)”. Nel 1300 Theodorico de’ Ranieri diviene rettore capitano generale del Patrimonio di San Pietro e in quell’anno, risiedendo in Valentano, appiana le controversie fra l’abate di San Salvatore ed il vescovo di Grosseto, città dove egli è fin dal 1303 rettore di San Benedetto.

Tra i vari prigionieri fatti da Theodorico de’ Ranieri durante la conquista di Palestrina nel settembre 1298 vi è fra’ Jacopone da Todi che viene espulso dall’Ordine, scomunicato e rinchiuso nei sotterranei del convento francescano di San Fortunato a Todi. I due cardinali Colonna, scomunicati, sono espulsi dallo Stato della Chiesa e riparano presso Filippo il Bello re di Francia: i beni confiscati ai Colonna vengono divisi tra i Caetani ed i loro tradizionali nemici, gli Orsini. Roma raggiunge una pace apparente ed in questo clima di armistizio Bonifacio VIII decide di celebrare il primo giubileo della storia: per esplicita volontà del Papa i Colonna ed i loro sostenitori sono esclusi da ogni indulgenza. Solo dopo la morte di Bonifacio VIII, sul finire del 1303, il suo successore papa Benedetto XI revoca la scomunica a Jacopone da Todi e fa liberare dal carcere il vecchio spirituale che si ritira prima presso Pantanelli, dove compone diverse laudi tra cui la celeberrima Stabat Mater e poi presso il monastero di clarisse di San Lorenzo in Collazzone, fra Todi e Perugia: qui muore tre anni più tardi, all’età di 70 anni, la notte di Natale del 1306. Di Bonifacio VIII è stato detto da degli storici cattolici che “entrò nel pontificato come una volpe, vi regnò da leone e vi morì come un cane”.

Queste imprese di Theodorico de’ Ranieri coronate tutte da pieno successo, portano al consolidamento del pontificato di Bonifacio VIII, alla soddisfazione personale del Papa stesso ed all’incameramento nella famiglia Caetani dei territori e dei beni dei Colonna “Papa Bonifacius volebat sibi dari totam Tusciam” e, certamente, apportano a Theodorico consistenti fortune economiche che investe in Orvieto, in Bolsena ed in Castel Viscardo. Il cardinale Theodorico de’ Ranieri partecipa al conclave del 21 – 22 ottobre 1303 che porta all’elezione di papa Benedetto XI ed a quello del 10 luglio 1304 – 5 giugno 1305 che elegge Clemente V.

In calce al documento n. DLXXXIV a pagina 371 del Codice Diplomatico della Cittàd’Orvieto sono riportate le note seguenti, utili per approfondire ulteriormente la conoscenza del cardinale Theodorico, che si ripetono integralmente: “Togliamo da una nota del Marabottini le notizie intorno a quest’illustre personaggio e alla sua famiglia. Circa l’anno 1275 egli conseguì il priorato di Sant’Andrea, chiesa collegiata e fra le più antiche d’Orvieto. Martino IV alla sua venuta lo dichiarò suo cappellano e poi lo mandò collettore in Germania. Bonifacio VIII lo elesse arcivescovo di Pisa nel 1293 e camerlengo della Chiesa, ai 4 dicembre 1298 cardinale e nel 1299 primo vescovo di Città Papale. Dopo la morte di papa Bonifacio ebbe la sede Prenestina, traslato il 7 dicembre 1306. Era nel 1300 rettore e capitano generale del Patrimonio, e in quell’anno risiedendo in Valentano, sopì le controversie fra l’Abate di San Salvatore e il Vescovo di Grosseto, dove egli era fin dal 1303 rettore di San Benedetto. Fra i suoi familiari furono messer Neri canonico di Chiusi e Oddo di messer Faffuccio de’ Medici d’Orvieto. Il padre di Theodorico si chiamò Giovanni o Gianni di Bonaspene o Bonaspeme: benché nato in Orvieto, mai vi godè cittadinanza, e Theodorico prima che godesse onori, come nel 1271, è semplicemente chiamato “Teodoricus Jannis Bonaspenis”. Si trova nell’anno 1232 abitatore d’Orvieto un Bonaspene perugino che nel rione di S. Giovanni possedeva una casa livellaria del Vescovado e questi poté essere l’avo paterno del Cardinale. Della madre è ignoto il nome. Fu sorella ad un monaco cistercense d’Orvieto detto Raniero, il quale nel 1301 creato vescovo di Piacenza da Papa Bonifacio VIII, mentre disponevasi a partire di Roma per il possesso di quel Vescovado fu colto dalla morte, che seguì nell’Abbazia delle Tre fontane, dove è sepolto. Per questo accidente il Papa donò al cardinale Theodorico, nepote del defunto, millecinquecento fiorini d’oro delle rendite di quel Vescovato. Il Marabottini pensa che dal nome di questo Vescovo alcuni abbiano adottato al Cardinale il casato di Ranieri: corregge il Manente, il quale ha fatto credere e ripetere che il palazzo detto del Cardinale a Bolsena si riferisca a lui, laddove fin dal 1228, cioè tanto tempo innanzi a Theodorico, nominasi il palazzo “intra castrum Bulseni, quod dicitur domini Cardinalis ” (cfr. AVO codice A), e lo stesso dicasi del palazzo di Rocca Ripesena, di cui è memoria ultima fino all’anno1281; eppure si andette tanto innanzi colle supposizioni da collocare poco prima del Marabottini sul palazzo di Bolsena lo stemma de’ Ranieri di Perugia. Un palazzo con torre egli costruì in Orvieto presso Sant’Andrea e forse fu quello rifatto poi dai Marabottini, oggi del conte Carnevali, ma non è dato provarne la notizia. Devesi facilmente a questo grande personaggio il favore di Bonifacio VIII per Orvieto. Zaccaria fratello del Cardinale fu privilegiato dal Comune di porto d’armi per sé e per i suoi familiari. Conseguì la dignità equestre, ma non ostante nel 1309 ottenne di restare coi figliuoli suoi sempre fra i popolari.

Nacquero da lui frate Teodorico de’ Predicatori, di cui alla nota qui sopra (sul rovescio della pergamena si legge di mano del conte Livio Polidori: “Frater Thedericus d. Zaccarie nepos carnalis huius Cardinalis Thederici de Ordine ffr. Predicatorum, qui obiit Viterbio 1318 – Vide Cronica fr. Ioannis Mathei dicto Caccia, pag. 61, in Conventu S. Dominici W.”), Gualtiero, Luca, Benedetto e Ranieri. A questi, che sono dati dal Marabottini, va aggiunto anche messer Ciuccio, che si trova ottener licenza dal Comune di condurre seco cavalli della cavallata per recarsi in Campania ai signori Loffredo dei Fondi e Benedetto, Conti palatini, per cingersi del cordone militare (cfr. Riformazioni 1315 giugno 3, vol, XIV, lib. 6, c. 3). Gualtiero fu chierico, essendo stato prima in Orvieto canonico di Sant’Andrea, poi di Santa Maria e in Francia arcidiacono Carnatense, Luca fu arciprete del duomo d’Orvieto, Benedetto andò potestà in Ascoli nel 1317, l’anno dopo capitano a Bologna, nel seguente vicario di re Roberto di Napoli in Firenze, nel 1324 potestà di Gubbio e nel 1328 vicario del duca d’Atene. Ranieri fu anche esso vicario di Roberto di Napoli nel 1315 e nel 1326 del duca d’Atene e del duca di Calabria e poi vicario generale in Romagna del principe della Morea e duca di Durazzo, figliuolo di Carlo II re di Napoli. Era stato potestà di Firenze nel 1314, dove poi ritornò in tale ufficio nel 1326. Nel 1316 fu prima capitano di popolo in Orvieto e quindi potestà di Siena.

Da questo Ranieri nacquero donna Teca che fu moglie di Ranuccio conte di Sarteano, Niccolò, Zaccaria, Nisio e messer Bonifazio, in cui può dirsi che terminasse la discendenza del celebre Cardinale.

E Bonifazio è quegli che nel 1344 veniva invitato anche con lettera speciale della Signoria di Firenze ad accettare l’ufficio di potestà e nel 1345 era capitano di guerra della repubblica senese coll’accrescimento di cento fanti e di cinquanta cavalieri di guardia, benché al Tommasi sia detto de’ Guidoni, ne1 1318 ritornò in Firenze prima potestà e poi capitano e che nel 1350 fu capitano generale contro Bulgaro di Teneruccio dei conti di Marsciano, accettissimo al famoso cardinal legato di Spagna, Egidio Albornoz, fu uno de’ primi capitani di Blasco Ferrando, cugino di quello, e combatté per la recuperazione della Marca e della Romagna e contro il prefetto di Vico. Per ultimo si condusse a stare coll’arcivescovo Bituricense, e lo seguì in Todi e in Perugia. Ebbe in moglie madonna Antonia, unico rampollo degli antichi signori di Castel Viscardo, da cui venne Niccola donna di Corrado di Berardo (Berardo di Corrado, n.d.A.) dei Monaldeschi della Cervara.

Nell’Archivio di Stato di Firenze si conservano gli atti del podestà Ranieri di messer Zaccaria d’Orvieto e portano il suo stemma alla mezza luna d’oro di sopra, rastrellato d’oro e di sotto alla stella pur d’oro e altrove sovrapposto d’oro a due onde correnti”.

L’insegna araldica del cardinale Theodorico de’ Ranieri è, infatti: troncato alla fascia doppiomerlata, (lambello o rastrello o scalabrone), con un crescente montante nel 1° ed una stella a otto punte nel 2°. La Luna, nel cielo notturno, signora delle tenebre, evoca metaforicamente la bellezza e la luce nell’immensità oscura; ma poiché questa luce non è che un riflesso di quella del Sole, la Luna diviene il simbolo della conoscenza per riflessione, cioè della conoscenza teorica, concettuale, razionale. Questa figura araldica, il quarto di luna, si chiama crescente e può essere montante, rovesciato, volto o rivoltato, secondo la sua posizione all’interno dell’arma. Il nome “crescente” è dovuto all’auspicato accrescimento delle fortune. Quando il crescente ha le corna rivolte verso il capo dello scudo, in araldica si dice montante. L’astro simboleggia graficamente ciò che sta al di là della sfera terrestre, qualcosa che non è tangibile. Gli astri, infatti, partecipano alle qualità di trascendenza e di luce che caratterizzano il cielo con la loro regolarità inflessibile dominata da una ragione insiemenaturale e misteriosa. Sono animati da un moto circolare che è il segno della perfezione. L’astro è il simbolo del comportamento perfetto e regolare e, insieme, di un’indistruttibile e lontana bellezza. L’astro fu guida del Redentore, ed anche il punto di riferimento a chi conduce la nave nella notte: due fatti che probabilmente si impongono alla fantasia degli uomini quando vogliono rappresentare la guida verso un porto sicuro, che sia spirituale o materiale. Della stella si considera soprattutto la qualità di dare luce. La stella a cinque punte o raggi è il simbolo del microcosmo umano, a sei è il simbolo dell’unione di spirito e materia, ad otto, come quella nello stemma dei de’ Ranieri, rappresenta la creazione non compiuta, ma in via di realizzazione.

Il lambello indica il possedimento di un feudo o di un castello. Stemmi del cardinale Theodorico sono conservati in Orvieto sul lato sinistro della facciata della chiesa di Sant’Andrea, sotto il portico laterale di detta chiesa ed in altri siti come sulla facciata del palazzo del Cardinale adiacente la chiesa di Santa Cristina in Bolsena e sull’ostello fatto costruire dal Cardinale per i pellegrini del primo giubileo in località Palazzone, nelle vicinanze di Rocca Ripesena.

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Palazzo Teodorico a Bolsena

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